Ho conosciuto poco don Roberto Malgesini, colpito alle spalle da una di quelle persone delle quali cercava di avere cura. Chi si dedica ai più poveri, agli emarginati, a quelli che il nostro Vangelo chiama “ultimi”, non si sente mai in pericolo, è un pensiero che non lo tocca. E’ abituato a cercare e a vedere il bene, non può immaginare altro. Se chi lo ha ucciso è, come sembra, uno squilibrato, allora di lui don Roberto avrà ancor più pietà.
Adesso vorrei chiedere a tutte e a tutti i cittadini, soprattutto ai miei colleghi preti, ai vescovi e alle istituzioni, di non glorificare don Roberto con messe solenni, decorazioni alla memoria e targhe postume. Io credo che don Roberto vorrebbe che tutti noi raccogliessimo la sua eredità, l’impegno a guardare gli ultimi come i primi di cui avere cura.
Gli ultimi di don Roberto non erano un concetto ma persone in carne ed ossa: i senzatetto che soccorreva a Como, gli stranieri che incontrava nelle strade della sua città. Dietro ogni colazione che distribuiva c’era un volto. E c’è ancora. Oggi quei volti, quelle persone sono orfane, perché erano la sua famiglia. E’ a partire da questi orfani che la comunità deve partire se vuole rendere a don Roberto il bene che lui ha dato.
Io immagino che il nostro don Roberto avesse fatto una promessa: mai abbandonare le persone che chiedono aiuto. Da oggi dobbiamo essere noi a mantenerla.
don Gino Rigoldi, Corriere della Sera, edizione locale Milano, 16/09/2020