A un diciottenne straniero, lontano migliaia di chilometri da casa, solo e con un mandato familiare migratorio sulle spalle chiediamo di essere autonomo nel provvedere a se stesso, sia dal punto di vista formativo e professionale, sia da quello della casa.
Sono richieste che non ci sogneremmo mai di fare ad un diciottenne italiano.
Don Gino, con la sua casa di accoglienza, ospita 15 ex minori stranieri non accompagnati che altrimenti vivrebbero in strada, senza sapere che direzione prendere.
Proviamo a capire meglio la situazione!
Abbiamo incontrato Amal che oggi vive con don Gino e ci ha raccontato la sua storia, come è arrivato in Italia e cosa lo ha portato qui.
«Come ho incontrato don Gino? Beh, ero al Beccaria..».
Una pausa di silenzio: incertezza, imbarazzo forse, poi Amal riprende il racconto.
«Sono arrivato a Milano dall’Egitto: vivevo con la mia famiglia in un paesino, non che morissimo di fame, sopravvivevamo in qualche modo. Siamo 7 fratelli e mamma e papà hanno chiesto a me di partire per cercare un riscatto e un futuro anche per chi di loro restava a casa.
Poi qui.. Avevo 16 anni, che dovevo fare a Milano per non deludere i miei? Dormivo sulla 90, cercavo di sopravvivere, ho commesso una leggerezza e sono iniziati i guai. Al Beccaria ho conosciuto don Gino e quando sono uscito sono venuto qui in cascina a Trenno.
Don Gino è stata la prima persona disposta ad accogliermi, a farmi tirare il fiato dandomi un letto e un piatto caldo. Trenno oggi è davvero una casa dove c’è un padre disposto ad ascoltare, ad aiutare, a perdonare chi sbaglia per riprovarci ancora.
Siamo in tanti qui e i bisticci non mancano e sapete don Gino cosa fa quando due di noi litigano? Li mette in camera insieme: il primo giorno ci si ignora, dopo qualche giorno si abbozza un buongiorno e alla fine si fa pace. Don Gino è un grande: a lui gli interessa davvero il nostro futuro, qui mi sento in famiglia».
Ma chi sono i Minori Stranieri Non Accompagnati? Lo abbiamo chiesto ad un operatore che ci lavora a stretto contatto da tanti anni:
Quando ho iniziato a occuparmi dei ragazzi che abitano la casa di don Gino ho cercato innanzitutto di capire chi fossero: ex minori stranieri non accompagnati, oggi maggiorenni.
Ogni volta che dialogo con uno di loro la domanda che mi rimbalza in testa senza darmi tregua è sempre la stessa: ma perché un ragazzino ha viaggiato da solo tra trafficanti, accampamenti e barconi?
I ragazzi a Trenno oggi sono 15 e le risposte sono simili e molteplici: violenza, povertà, avventura, guerra..
Arrivano dai paesi più poveri perché hanno visto le immagini di ragazze e ragazzi felici che lavorano, si vestono alla moda, giocano a calcio, ballano e riempiono le piazze di feste.
Arrivano perché qualcuno li ha voluti salvare o perché qualcuno ha creduto di salvarsi grazie a loro. Hanno fatto dei debiti per pagare un viaggio di 4.000 chilometri e hanno aspettato.
La pressione su un ragazzino può essere molto dannosa: se hai 16 anni, non conosci bene la lingua, non hai un mestiere, come fai a guadagnare abbastanza soldi per vivere e per aiutare la tua famiglia che ha puntato tutto su di te?
Arrivano i 18 anni e ancora non ci sei riuscito. Vivi per strada e qualche sbaglio può capitare. Adesso sei nei guai e ancora più solo. Stai rischiando di essere rimandato in Egitto. Cosa dirai a tua madre? “Per fortuna che c’è don Gino” è quello che rispondono.
La casa di accoglienza è una piccola cascina vicino al parco di Trenno dove don Gino offre personalmente ospitalità a chi – spesso appena uscito dal carcere minorile Beccaria – non sa dove andare a dormire. Vengono messe a disposizione le stanze “in più” a chi si trova in difficoltà, a chi deve trovare un tetto per cominciare una nuova vita.
La casa-comunità ha due bisogni: uno continuativo nel tempo, legato ai costi ordinari di una vita in condivisione (utenze, cibo e vestiti); uno contingente, legato al bisogno di rinnovare gli arredi, ormai rovinati, dopo tanti anni e tanti ospiti transitati.
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