La buona notizia è che la Cassa delle Ammende ha proposto alla Regione Lombardia 900.000 euro da destinare ad alloggi per detenuti che non possono uscire dal carcere, in permesso temporaneo o per aver concluso la pena, perché non hanno una casa dove andare.
La Cassa delle Ammende, che raccoglie le somme derivanti da alcune multe statali, ha come compito istituzionale il loro utilizzo per progetti a favore delle carceri e dei detenuti. La Regione Lombardia, nella persona dell’assessore alla famiglia, ha rifiutato la somma, affermando che avrebbe voluto utilizzarla per assicurare presidi sanitari più efficaci alla Polizia Penitenziaria.
Ovviamente, se la Regione rifiuta quei 900.000 euro, come ha fatto, la somma non arriva a nessuno: né ai detenuti per trovare casa, né agli agenti per acquistare presidi sanitari. Per fortuna, il Consiglio di Amministrazione della Cassa Ammende ha trasmesso la cifra stabilita al Provveditorato per le Carceri della Lombardia, molto saggiamente amministrato da un funzionario dello Stato. È possibile, mi rendo conto, che alcuni dei miei lettori non provino la stessa soddisfazione che provo io e, credo, tutti i miei colleghi cappellani.
Allora provo a spiegarmi. La premessa ovvia è che la casa è un bene del quale non si può fare a meno, sia da liberi che da ex detenuti. Questo affitto provvisorio, pagato grazie alla Cassa delle Ammende, vuole essere un periodo “coperto” e accompagnato da una decisa ricerca di lavoro. Quelli che hanno fede nella mia religione sanno che la beneficenza senza progetto è sciocca, e che aiutare un fratello o una sorella che ha sbagliato è comandato dal Vangelo.
E tutto scritto nel capitolo 25 del Vangelo di Matteo. Ma lasciamo perdere la religione: sapete perché il carcere di Bollate, in parte anche quello di Opera, i Beccaria, ma credo anche Padova e Verona, insomma, sapete perché alcune carceri hanno una bassa recidiva? Per chi non l’avesse chiaro, “recidiva” significa ritornare in carcere perché si sono nuovamente commessi dei reati.
Una bassa recidiva, per esempio del 20/30% invece che del 60/70%, è legata al fatto che dentro il carcere qualcuno si è occupato delle persone, ha insegnato loro un mestiere e, a fine pena, ha attivato per loro un minimo di “paracadute” sociale, il cui elemento principale è la casa.
Meno ritorno in carcere significa meno criminalità, più persone che hanno trovato la via per una vita onesta, un colossale risparmio economico, visto il costo di ogni carcerato, e la fine del sovraffollamento delle carceri. Se vi sembra poco vi prego di pensarci. Per un cristiano, questo consiglio mi pare inutile.
don Gino Rigoldi, Corriere della Sera, edizione locale Milano, 15/05/2020