Credo di non essere stato l’unico a vivere una grande pena ed un brivido alla vista della sequenza di camion militari che trasportavano chissà dove le salme di uomini e donne di Bergamo. Pare di sentire le lacrime, la grande tristezza per una persona amata che non si è potuta salutare neanche alla fine, per l’assenza di una voce che non ci parlerà più.
Quello che si vede bene in questi giorni è che noi esseri umani siamo capaci di opere grandiose, di scoperte scientifiche straordinarie, ma anche portatori di una fragilità sostanziale, perché la fiammella della nostra vita si può spegnere, è comunque destinata a spegnersi.
Qui piangiamo le vittime di un virus, ma la morte non è un accidente che tocca a chi è sfortunato.
E dopo cosa c’è: il nulla? I granelli di cenere dei corpi amati che ci vengono restituiti? Quando, da sacerdote, ho fatto il funerale della mia mamma, ma anche quando ho accompagnato alla tomba più di un centinaio di giovani morti per droga o per Aids, anche la mia domanda è stata: “Dov’è adesso la mia mamma, con il suo amore, i suoi sacrifici, la sua intelligenza, la sua fede semplice. Ma la domanda è stata anche: “Dove sono Gaetano, simpatico e ambizioso, oppure Angelo, con tutta la sua incredibile ingenuità, e Ivano, che mi aveva eletto suo padre?”.
Da sacerdote avevo già in mente la risposta, ma in mente, non come quando ti vengono le lacrime agli occhi, vivi la tristezza di un’assenza o lo schianto di una giovane vita che amavi. Allora devi guardare la tua fede, dialogare con il dolore e con il mistero della morte.
Io credo nella resurrezione perché mi pare scritta nella vita, negli amori, nei pensieri, nelle lotte, negli ideali. E credo nelle parole di Gesù il Risorto, nella sua resurrezione che io vivo come una conferma.
Tanto dolore ha sopportato Gesù nella sua vita e soprattutto nella sua condanna e uccisione. Una persona bellissima che ha pagato la sua fede con il sangue e con le sofferenze, ucciso ma risorto da Dio.
Noi preti siamo abituati a parlare di resurrezione quasi soltanto ai funerali, ma sarà meglio che incominciamo a ripetere molto più spesso che la croce è il penultimo atto. L’ultimo atto è stato la sconfitta della morte, la resurrezione, perché Dio è più forte della morte.
Io veramente spero per me e per tutte le persone che ho amato, anche per quelle portate via da Bergamo, che la morte è e sarà solo il penultimo atto dei miei vissuti, l’ultimo prima della resurrezione.
don Gino Rigoldi, Corriere della Sera, edizione locale Milano, 29/03/2020