Radici è la rubrica che racconta i valori che hanno sempre contraddistinto don Gino e che guidano la Fondazione. Accompagnati da don Gino esploriamo e analizziamo le parole chiave che rappresentano i valori, gli obiettivi e l’identità che ci definiscono. Ogni mese approfondiremo una delle parola che riflette un aspetto essenziale della nostra missione e del nostro impegno quotidiano per i giovani di periferia e le famiglie in difficoltà.
Amore
/a·mó·re/
sostantivo femminile, maschile e neutro
Guardare con onestà al bene dell’altro.
«L’amore è la prima regola per vivere bene, per avere una vita bella. Amarsi è dire all’altro “a me importa di te”. Significa saper accogliere, ascoltare, perdonare l’altro, cercando il suo bene e non il proprio vantaggio. Non basta sentirsi buoni per avere fatto il bene, quello che serve è un amore onesto, ovvero abituato a dirsi la verità anche quando la verità è dura. Mai per umiliare, sempre per costruire un rapporto importante e sincero. Solo così può essere forte e durare.
Per noi cristiani, poi, l’amore è un vero e proprio comandamento di Dio, la sua cura è ordinata dal Vangelo come prioritaria».
Carità
/ca·ri·tà/
sentimento universale
Forma d’amore che non si ferma ad un gesto, ma si chiede i perché.
«La carità è un amore intelligente: va oltre il gesto generoso e misericordioso con cui si risponde a una richiesta di aiuto. Si tratta di “provare” carità verso chi ha bisogno. È lo sguardo intelligente che cerca di capire i perché che stanno dietro a quel bisogno, le ingiustizie che possono esserci per risanare l’ingiustizia e promuovere l’equità.
Significa dare un pezzo di pane all’affamato e domandarsi cosa lo ha portato a non avere di che nutrirsi. Per me significa dare un posto letto ad un ragazzo che non sa dove dormire e cercare di capire perché si trova in questa situazione e aiutarlo a trovare soluzioni perché possa provvedere a se stesso: ad esempio aiutandolo a trovare un lavoro perché possa condurre una vita autonoma e sognare di avere una casa dove tornare la sera».
Casa
/cà·sa/
diritto universale
Riparo solido da cui partire per camminare nel mondo.
«Senza un’abitazione non c’è lavoro, non c’è istruzione, non c’è nulla, in particolare per le nuove generazioni che hanno bisogno di diventare autonome. Penso a uno dei tanti ragazzi che ho incontrato in questi anni: perito chimico, assunto in un’azienda con un buono stipendio. Ha firmato il contratto per una casa in affitto ma quando si è presentato di persona lo hanno stracciato: solo perché è nero. Se tutto questo scomparisse sarebbe un grande passo avanti. La casa è quello spazio in cui un ragazzo e una ragazza possono trovare riparo e protezione, fare una doccia per presentarsi in ordine al lavoro trovato a fatica, trovarsi con amici per condividere un pasto e sviluppare relazioni. Senza la casa un giovane o una giovane non possono progettare la propria vita e, anche, immaginare di avere una famiglia».
Lavoro
/la·vó·ro/
diritto universale
Occasione per costruire la fiducia in se stessi e dare credito al futuro.
«Il lavoro è uno dei bisogno di base della nostra società. Lo è per tutti, ma a maggior ragione per quei giovani che di solito ne sono esclusi e quindi non possono accedere ad un percorso di autonomia che li aiuti a pensarsi diversamente. Lavorare per un ragazzo e una ragazza significa darsi valore: ha un fortissimo significato identitario che genera fiducia in sé e incrementa la capacità di immaginare un futuro diverso. è così che un giovane detenuto che lavora ha maggiori possibilità di non tornare in carcere, è così che un giovane cresciuto in un contesto difficile getta le basi per il proprio riscatto. Lavorare permette di dare credito al futuro per non vederlo già scritto».
Carcere
/càr·ce·re/
sostantivo femminile e maschile
Luogo di afflizione che sarebbe bello non esistesse più.
«Il carcere dovrebbe essere un luogo di accoglienza per chi ha commesso uno sbaglio, dove avviene la preparazione per un domani che vogliamo sia fuori dalle mura per i ragazzi e le ragazze, senza più inciampi. Uno spazio di riabilitazione – che dovrebbe ospitare pochi giovani per essere davvero efficace – e di incontro con persone che ci tengono al loro recupero e gli vogliono bene, capaci di parlare un linguaggio che venga capito da chi è recluso, così che la relazione sia costruttiva. In carcere servono buone parole e buoni fatti: bisogna trovare risposta con rispetto ai bisogni materiali, etici, culturali che emergono tra i giovani detenuti così da aiutarli a credere che un’alternativa per il loro futuro è possibile. Chissà, magari senza il carcere.»
Solidarietà
/so·li·da·rie·tà/
dovere collettivo
Attivarsi in risposta a un’ingiustizia a cui assistiamo, anche quando non ci riguarda personalmente.
«Solidarietà è avere sguardo sull’altro e intervenire – con buon senso e pazienza – per rispondere ai bisogni che ci troviamo davanti. È dire “a me interessa” nel momento stesso in cui vedo qualcosa che non va, anche se non mi riguarda. Vuol dire lasciarsi “fregare” dallo sguardo. C’è una solidarietà piccola, quella dei 20 euro a chi si trova senza mezzi improvvisamente e deve arrivare a fine giornata: questa è una solidarietà che è bello fare personalmente e a me non ha mai ridotto alla fame. Poi c’è una solidarietà più attrezzata e creativa, che cerca di rispondere senza slogan e parole vuote, ma con risposte concrete a dolori, drammi e povertà. È una solidarietà politica alle volte che richiede intervento pubblico dove vedo disprezzo, sofferenza ed emarginazione. La solidarietà parte dal cuore, sempre, ma servono anche le parole giuste altrimenti non si è solidali per niente».
Relazione
/re·la·zió·ne/
sostantivo universale
Incontro tra persone che si guardano senza paura e senza giudizio.
«Una relazione non nasce mai per un colpo di fortuna: tutto quello che avviene dopo l’incontro, che può anche essere casuale, è il frutto della nostra scelta di impegnarci – o no – a stare con quella persona, ascoltarla, conoscerla, darsi tempo, godere delle sue buone qualità e accettare le sue debolezze.
Le relazioni sono l’ingrediente essenziale per una vita bella e soddisfacente e richiedono cura: ho imparato che a guardare o, meglio, a vedere le persone senza giudicare si riesce a stabilire dialogo, collaborazione, amicizia. Io comincio con un pregiudizio positivo: in ogni persona c’è sempre una parte positiva con la quale iniziare il dialogo. È un modo di prendere la vita, è la fiducia che l’offerta di buona amicizia è più forte delle differenze, dei dubbi e forse anche degli interessi. Se guardi al tuo prossimo con questa fiducia, cercherai sempre le sue qualità, con la convinzione che il bene è più forte del male.»