El Simba all’anagrafe si chiama Alex Simbana, ha 23 anni, è nato in Ecuador, vicino a Quito. Oggi è un artista trap e lavora in teatro, ma ha fatto cinque anni e mezzo di carcere, al Beccaria, dove ha conosciuto Baby Gang e il suo quasi omonimo Simba La Rue.
Che rapporti ci sono fra lei e i due arrestati di ieri?
“Quando sono arrivati al Beccaria, io ero già dentro. Abbiamo parlato, ci conosciamo. Adesso non so esattamente che cosa sia successo, né i motivi del loro arresto. Ma abbiamo storie simili alle spalle. Mi dispiace molto che si siano messi di nuovo nei guai, avevano iniziato un bel percorso. Peccato, rovinarsi così, per una rissa. Ma la vita della strada ti rimane dentro, anche se stai cercando di venirne fuori. Se quando esci ritrovi lo stesso ambiente e finisce che fai di nuovo casino”.
Qual è la storia simile?
“Veniamo da quartieri poveri, posti dove si commettono reati per provare ad avere quello che non hai, i vestiti, gli oggetti che hanno tutti gli altri. Posti dove la violenza sembra uno strumento per farsi riconoscere, quando nessuno ti vede. Io sono figlio di immigrati come Simba, anche io ho commesso i miei errori e ho dovuto fare fatica per arrivare ad essere ammesso al lavoro esterno, in affidamento in prova ai Servizi sociali. In carcere ho avuto modo di riflettere sulla mia vita. La cosa più brutta è stata la mancanza dei miei genitori. Sono cresciuto in Ecuador con mia nonna, poi sono venuto in Italia a 8 anni, il riavvicinamento affettivo è stato difficile”.
Che cosa è cambiato in carcere?
“Essere privato della libertà, restare solo in cella, ti dà del tempo per ragionare. Quando mi hanno messo nel gruppo avanzato, per scontare una pena lunga, ho imparato a lavorare. E ho conosciuto persone stupende, come don Gino Rigoldi, Lisa Mazzoni e Giuseppe Scutellà e che mi hanno aiutato a maturare”.
Come è arrivato in prigione?
“Sono finito fuori strada perché sono cresciuto senza genitori, sono arrivato in un Paese straniero, dove non conoscevo nessuno e non contavo niente. Uscivo con alcuni che facevano cose sbagliate e le facevo anche io. L’ho capito quando mi hanno arrestato. In cella ho conosciuto tanti ragazzi le cui storie mi hanno fatto capire perché siamo finiti dentro. Anche quelli che fanno i duri, dentro sono tristi. E a un certo punto, anche se cerchi di sembrare figo, fai lo sbaglio che ti rovina la vita”.
Ma la scuola non l’ha aiutata?
“Ho studiato fino alla terza media, poi ho provato a fare la prima superiore, ma non avevo tanto la testa a posto, non ci stavo dentro. Non era per me in quel momento. Ho mollato tutto, mi sono messo nei guai e sono finito dentro a 17 anni. Adesso sto lavorando, sogno un giorno di fare anche le superiori, magari al serale. In carcere ho avuto tempo di ragionare su cosa volevo dalla vita, ho capito che non ottenevo nulla andando contro la legge”.
Che cosa fa adesso?
“Grazie alla Fondazione Don Gino Rigoldi e al Teatro Punto Zero, lavoro come tecnico audio e luci. Recito anche, leggo un sacco di copioni. Tragedie greche, Shakespeare. È molto bello, mi piace studiare. E poi faccio la mia musica. Sono un artista, tengo concerti, ho cantato anche al Parco Sempione l’estate scorsa. Sto aspettando una conferma per le prossime date alla Music Week. La mia ultima canzone si chiama Scusa mamma, è una trap un po’ melodica che racconta i miei contenuti, i sentimenti miei e della famiglia, cose che uno può provare in carcere. Io cerco di dare comunque un messaggio positivo a chi mi ascolta parlo della speranza, del futuro, della possibilità di ripartire dagli errori”.
Ha fiducia nel futuro?
“Sto molto meglio, sono in un percorso che mi sta tirando fuori, penso ai miei errori e da lì capisco come andare avanti per non commettere altri sbagli. Il carcere mi ha salvato la mia vita, fossi stato fuori, non so come potevo finire, Invece mi sono fermato. Anche la musica è stata la mia salvezza, il modo per superare la rabbia, per parlare di come si rinasce”.
El Simba, Corriere della Sera, 08/10/2022