Al Centro Diurno Azimuth per una nuova possibilità

Sofia lavora al Centro Diurno Azimuth da 5 anni. È una delle educatrici che lavora in questo servizio e oggi ci racconta la parte più emotiva ed emozionante del progetto.

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Al Centro Diurno Azimuth i ragazzi stanno facendo una pausa durante il laboratorio in programma per oggi. Giocano a ping pong, è una sfida a 4 racchette: la pallina sfreccia velocissima sul tavolino e il “tac tac” che fa quando tocca il tavolo è come un sottofondo musicale che accompagna la partita. C’è anche Sofia che gioca in una delle due squadre, per ora quella vincente: lavora nel servizio come educatrice da 5 anni e non si immaginava il suo futuro qui inizialmente.

«Ho sempre saputo di voler diventare educatrice, ma mi vedevo in un ambito più adolescenziale. Quando mi hanno proposto di lavorare ad Azimuth ho accettato la sfida e ogni giorno che passa sono sempre più convinta di aver fatto la scelta giusta. Quello che mi piace di più del mio lavoro è la costruzione di una relazione: per un anno – tempo limite di permanenza all’interno di questo servizio, salvo eccezioni – ci vediamo tutti i giorni, ci si confronta singolarmente e in gruppo, si crea un legame educativo forte. L’obiettivo è creare una relazione con loro per riuscire ad accompagnarli in una fase particolarmente delicata della loro vita, far scoprire loro delle risorse che hanno sempre avuto, ma che non ricordano di avere.

Siamo un ponte tra quello che è una realtà chiusa, come le carceri, e la società: di solito quando una persona esce dal carcere è totalmente spaesata, non sa come girarsi nel mondo e noi li riaccompagniamo a immaginarsi la vita che desiderano. Siamo il luogo in cui questi ragazzi e ragazze alle prese con una fatica sanno che possono venire qui e dire “mi è successa questa cosa, come la gestisco? Come la posso affrontare?”»

Sofia ci racconta che il servizio accoglie un massimo di 16 persone, per creare un percorso cucito su misura sulle caratteristiche ed esigenze di ognuno. Chi si trova al Centro viene inviato dai SerD (Servizio per le Dipendenze), ha affrontato il carcere, è in messa alla prova o in affidamento.

«Le storie che ascoltiamo qui sono delle più varie, ma principalmente sono i SerD a individuare in una persona la motivazione che li spinge a proporgli il centro diurno. Più raramente parte da una loro spinta ma quando – in seguito al percorso che facciamo qui – riescono a individuare una motivazione profonda per la quale sentono di volere una seconda possibilità si vede proprio il cambiamento. Non sempre succede, in alcuni casi arrivano al Centro per finire la pena fuori dalle carceri, ma poi spesso qui scoprono un luogo che può aiutarli davvero. Chi riesce a proiettarsi nel futuro dandosi una reale possibilità di cambiamento poi ce la fa, e la maggior parte delle volte è così. È una soddisfazione grande per loro che possono tornare a essere padroni della propria vita con una nuova consapevolezza, ma lo è anche per noi perché significa essergli stati accanto in un pezzo di strada difficile che percorso insieme fa meno paura».

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