A chiamata, come apprendista, in borsa lavoro o come tirocinante, addirittura con assunzione a tempo indeterminato: si avvicina Natale, mi preparo a dire la messa del 24 – anche quest’anno nella sede della nostra Fondazione al CN l’HUB a fianco al Beccaria, perché la chiesa del carcere minorile non è ancora accessibile al pubblico – e penso a quelli, tra i “miei” ragazzi, che hanno trovato un lavoro. Penso a Nabil che è riuscito ad aprire un commercio di ortofrutta biologica, ad Albert che finalmente è stato assunto in falegnameria dopo un lungo anno di prova, a Ramon che è stato preso in tirocinio alle ferrovie dopo essersi guadagnato un diploma di perito meccanico mentre scontava una pena, a Francesco che di una cooperativa è diventato socio lavoratore, a Momi che è diventato apprendista manutentore dopo aver servito ai tavoli di chissà quanti bar… Penso, insomma, a quanto un lavoro – magari traballante, ma un lavoro – possa cambiare la prospettiva di un ragazzo che credeva di essere destinato a una vita di sotterfugi, senza la speranza di costruire una famiglia e di avere ogni giorno sempre lo stesso letto nella stessa camera.
Penso anche a quegli artigiani e imprenditori che, con un robusto senso di giustizia, hanno offerto loro la possibilità di riscattarsi: con tenacia gli hanno insegnato a rispettare orari, mansioni, relazioni di lavoro con colleghe e colleghi.
Mi rendo conto che oggi il lavoro è un tema difficile anche per i giovani ben attrezzati e con una famiglia che li sostiene, figurarsi per quelli che escono dal Beccaria o per quelli che non sono riusciti a finire la scuola. Ma io non sono un economista e nemmeno un sociologo, sono un prete e voglio seguire il comando di Gesù: se incontri un bisogno non girare lo sguardo da un’altra parte, ma rispondi con responsabilità.
Forse controcorrente, ma credo di poter dire che questo è un buon Natale. Certo, so che passiamo un periodo difficile, che l’economia sussulta tra i più e i meno e che la realtà quotidiana sembra essersi indurita per molte famiglie: lo vedo concretamente per l’incremento del numero di persone che si rivolge al servizio di segretariato sociale che gestiamo in un quartiere popolare di Milano. Eppure passo dopo passo – si comincia dal primo senza pensare all’ultimo, come direbbe un buon camminatore – stiamo cercando di costruire il futuro insieme a molti ragazzi che erano appesi al margine della società. Molti? Non sono grandi numeri quelli che possiamo affrontare con le nostre forze, certo, ma continuo a pensare che se riesci a cambiare la vita di una persona, allora hai contribuito a cambiare il mondo. Se poi le persone diventano dieci e poi cento, allora puoi anche pensare che stai contribuendo addirittura a trasformare la società. Senza montarsi la testa, ovviamente, e senza pensare che devi fare tutto da solo: le imprese, siano esse economiche, sociali o spirituali, si fanno alleandosi con altre persone. Come ha detto Papa Francesco a Firenze tre anni fa, «Ricordatevi inoltre che il modo migliore per dialogare non è quello di parlare e discutere, ma quello di fare qualcosa insieme, di costruire insieme, di fare progetti: non da soli, tra cattolici, ma insieme a tutti coloro che hanno buona volontà».
Arriva Natale, dunque, e anche io ho un desiderio da esprimere: che altri imprenditori di buona volontà mettano a disposizione un po’ di spazio anche per le ragazze e i ragazzi in difficoltà, gli ultimi della fila, quelli che hanno un curriculum di poche righe. Ce lo chiede il Vangelo, ce lo chiede la Costituzione.
Don Gino Rigoldi
Avvenire, 22 dicembre 2017 – Lavorare salva, chiedi ai ragazzi del Beccaria