“Per la prima volta in cinquant’anni non c’è neanche un posto libero nelle carceri minorili di tutta Italia. Sento ventilare da qualcuno l’idea di costruire nuovi penitenziari o di edificare comunità ministeriali per i ragazzi in aggravamento. Entrambe le ipotesi sono quanto di peggio potremmo pensare”.
Ad esprimersi è uno che se ne intende: don Gino Rigoldi, 82 anni, cappellano storico del Beccaria, anima di Comunità Nuova, partigiano dei giovani, croce e delizia delle istituzioni con cui si interfaccia e non molla fino a che non ha ottenuto “quello di cui c’è bisogno”.
Don Gino, che cosa bisognerebbe fare?
“Essere un po’ geniali, farsi venire delle idee. Innanzitutto si potrebbero inventare dei luoghi di interregno che somigliano a comunità contenitive e che oggi non ci sono. Quando un giovane viene arrestato, ora viene rimandato a casa in attesa della decisione del giudice, se non spedito nei centri di prima accoglienza di carceri lontane. Né una soluzione né l’altra è adatta. Si potrebbero inventare dei luoghi di interregno dove impostare percorsi condivisi e su misura. Il domicilio non è abbastanza contenitivo, tiene i minori connessi con il loro mondo. Il carcere per contro li inserisce subito in una realtà punitiva e non di relazione”.
Che cosa servirebbe in attesa della scelta del gip?
“Quel tempo è cruciale perché segna l’inizio di un affido, bisogna giocarselo bene. I ragazzi devono essere blindati per un breve periodo, fatti riflettere su ciò che hanno fatto. Devono capire che le persone che hanno rapinato hanno diritto alla proprietà, alla dignità, alla sicurezza. Il delirio di onnipotenza adolescenziale va arginato con forza. Con loro devono esserci adulti capaci di entrare in relazione: che ascoltino le loro storie, chiedano la loro opinione, orientino il loro tempo verso attività varie e costruttive, in modo da impostare un percorso condiviso e su misura. Mandarli subito in carcere è un errore, come pure rimandarli a casa”.
Bisogna accendere in loro qualche entusiasmo…
“Prendiamo i tantissimi ragazzi di origine araba che abbiamo al Beccaria. Molto spesso il loro interesse è solo la religione, l’unico impegno il Ramadan. In qualche caso piace la musica, ma quella è sbocco lavorativo per pochissimi. Bisogna allora rompere il ghiaccio. Fare proposte concrete come l’esame della patente o il corso di inglese per andare a lavorare da Amazon. Fornire elementi di rottura, prospettive di carriera. Occuparli, interessarli. Dentro le carceri e le comunità dovrebbero fare formazione le associazioni di categoria, con la garanzia di assumere i meritevoli. Dobbiamo conquistarci la loro fiducia, se vogliamo che le loro conquistino la nostra”.
Non facile…
“Ai ragazzi interessano tre cose: percorsi brevi e pratici, persone che loro stimano e danee da guadagnare. Puntano a diventare ricchi e dal loro punto di vista, si capisce. Da bambini hanno avuto compleanni senza regali, case occupate, frigo vuoti. Per educarli a valori diversi bisogna partire dalla lotta alla miseria”.
In che senso?
“La strada è farsi amiche le famiglie (le mamme, i fratellini piccoli) per arrivare agli adolescenti. Con persone capaci si potrebbero creare nei palazzi presidii educativi che in meno di un anno produrrebbero miracoli. Sogno realtà come il Barrios alla Barona, ma Comune di Milano e Regione Lombardia dovrebbero offrire spazi a questo scopo. E poi tante comunità, per poter scegliere di volta in volta quella adatta: oggi sono tutte uguali, piene e senza educatori perché pochi vogliono occuparsi dei casi difficili”.
Forse gli adulti devono imparare a stare con i ragazzi…
“Stiamo organizzando corsi aperti a tutti, li presenteremo a Palazzo Reale. Alla mia età non ho tempo da perdere. Quando mi dicono “Che bell’incontro, che belle parole” ma poi non cambia niente, li manderei a stendere. Bisogna esercitarsi, fare palestra. I ragazzi sono un bellissimo allenamento, se si investe su di loro. Altrimenti come si crea il rapporto speciale che meritano di avere?”.
Don Gino Rigoldi, cappellano IPM C. Beccaria di Milano, Corriere della Sera, 14/09/2022