Quando un ragazzo o una ragazza entra in carcere è sempre andato storto qualcosa. Qualche scivolone, qualche inciampo, ma nulla a cui non si possa porre rimedio. Quello che facciamo con il progetto Inside Out insieme a Comunità Nuova è dare a questi ragazzi e ragazze la speranza che se si cade, ci si può rialzare. Perché il carcere è un pit-stop, non è il loro futuro già scritto.
All’interno del carcere i ragazzi e le ragazze sono sottoposti a un progetto educativo altamente personalizzato, accompagnato da figure di riferimento come educatori ed educatrici, assistenti sociali, psicologi e psicologhe, e mediatori e mediatrici culturali. Si considera come prioritario lo sviluppo psicofisico di chi ha commesso il reato, che comprende anche la sua educazione e responsabilizzazione alla vita sociale perché vogliamo evitare e prevenire qualsiasi tipo di ricaduta in altri reati.
Noi li sosteniamo, lavoriamo per non farli sentire soli in un luogo che limita fortemente la loro libertà e per aiutarli a pensarsi diversamente, perché non sono l’errore che hanno commesso. Proviamo a costruire una quotidianità a cui abituarsi prima di tornare a progettare il proprio futuro, insieme a noi.
Proviamo a capire meglio la situazione!
Fonti: https://www.ragazzidentro.it/, https://www.rapportoantigone.it , https://gruppocrc.net/wp-content/uploads/2023/11/RAPPORTO-CRC-2023.pdf
Abbiamo incontrato M., sedicenne arrivato in Italia dalla Tunisia che incarna una delle realtà urgenti nella popolazione minorile italiana: i minori stranieri non accompagnati.
«La prima cosa che ricordo di quando mi hanno arrestato è la grande stanza in cui mi hanno portato, il passo prima del carcere. Lo chiamano Centro di Prima Accoglienza: piccole sbarre alle finestre, un continuo andare e venire di persone, tante domande… Ci sono rimasto per poco, ma più il tempo passava più sentivo di essere arrabbiato, forse anche un po’ deluso da dove stessi per finire… E qualche giorno dopo infatti ero dentro, al Beccaria, nel carcere vero e proprio.
Prima del carcere però ero stato in qualche comunità, senza successo: ero scappato più volte, volevo raggiungere dei parenti che ho qui a Milano. Ma poi ho cominciato a commettere qualche reato e sono stato rimbalzato da un carcere a un altro prima di arrivare definitivamente qui a Milano. Se devo dirla tutta, il mio comportamento all’inizio non è stato dei migliori, lo so. Con il tempo però tutta la rabbia che avevo, insieme a quel senso di dover “spaccare tutto”, di scappare, di fare di testa mia si sono trasformati. Ho trovato una routine che è fatta prima di tutto di incontri con chi è qui per aiutarmi, come gli educatori e gli psicologi. È proprio perché loro hanno cominciato a credere che non avessi il destino segnato che ho preso il diploma e poi ho cominciato a lavorare! Faccio il fornaio e in questo lavoro ci vedo una sorta di profezia perché anche i miei parenti in Tunisia hanno un forno: ho imparato un nuovo mestiere, riesco a impegnarmi in qualcosa che mi piace, ci credete? E contro ogni previsione mi sono addirittura dato all’arte: non ci avrei mai scommesso, ma ancora una volta lo hanno fatto gli educatori per me. Ogni sabato partecipo ai laboratori teatrali insieme a Teatro Puntozero, abbiamo molti progetti!
Il mio percorso non è stato facile, ma credo che sto dimostrando di poter cambiare con tutto me stesso. Perché come ogni 16enne sogno una vita diversa da questa, ma anche da quella che avevo prima. E ora che ho l’opportunità di riscrivere il mio futuro, sarebbe un peccato sprecarla».
Serena è una delle educatrici di Comunità Nuova e incontra ragazzi e ragazze provenienti dall’USSM (Ufficio Servizi Sociali Minorile). Lavora per aiutare a far rialzare i ragazzi e le ragazze che sono inciampati, ma che devono trovare la forza di immaginare un futuro diverso.
«Se li guardi negli occhi puoi trovarci dolore, rabbia, paura, determinazione, speranza. Quando li incontro dopo il loro arrivo all’USSM (Ufficio Servizi Sociale Minori) significa che qualcosa – di solito – lo hanno combinato: noi educatori insieme agli Assistenti Sociali dobbiamo trovare la chiave per aiutarli a diventare consapevoli del percorso che li ha portati qui, a reagire positivamente e a ripartire verso nuovi orizzonti.
Per conoscere chi si ha davanti bisogna innanzitutto capire la storia così da contestualizzare il reato: non ci si sveglia la mattina e si delinque, c’è qualcosa che ti porta a infilare una serie di scelte sbagliate e poi.. a volte non sanno neanche spiegarsi loro perché abbiano fatto quel furto, abbiano rapinato quella signora o peggio. A volte sembra solo un gioco, altre volte è la risposta alla fame, altre volte è la rabbia per mancanza di opportunità come gli altri. La maggior parte di loro arriva da situazioni di povertà delle più varie: economica, relazionale, affettiva, sociale. In alcuni casi il carcere è la soluzione, alcuni ragazzi hanno bisogno di quel tipo di contenimento iniziale. Ma chi fa il nostro lavoro crede che esiste una possibilità di recupero e tutte le volte che si può bisogna vedere il loro essere giovanissimi ed evitare di privarli della libertà. Quello che di certo produce la reclusione su un ragazzino sono cicatrici, delle quali impari a non sentire più il dolore, ma ci sono, ti hanno segnato.
Bisogna fare un passo in avanti, non punire, ma stare accanto per aiutarli a capire le scelte che li hanno condotti qui. La prima cosa che ho imparato in questo lavoro è l’importanza di sospendere il giudizio e accogliere questi adolescenti: il reato non identifica la persona. Non sono migliori o peggiori di altri, sono ragazzi che hanno sbagliato ma di cui vedo il loro essere persone a cui va riconosciuta una dignità. Sicuramente hanno bisogno di essere ascoltati, sicuramente hanno bisogno che ci assumiamo la responsabilità del loro essere qui».
Chi tra i ragazzi è al Beccaria sta scontando la pena o è in attesa di giudizio, altri – invece che stare in carcere – sono affidati a una comunità o sono in messa alla prova. Sono questi i ragazzi di cui ci prendiamo cura con il progetto Inside Out insieme a Comunità Nuova.
La nostra presa in carico comincia dai colloqui individuali, momenti essenziali per capire la loro prospettiva, il loro vissuto e quello che è successo.
Con i nostri educatori ci attiviamo insieme a psicologi e assistenti sociali, per costruire un percorso personalizzato per ciascun ragazzo, soprattutto per i più fragili che necessitano di un presidio educativo più forte. Quando intercettiamo minori stranieri ci affidiamo anche all’aiuto di mediatori culturali, fondamentali per costruire una relazione tra culture e lingue differenti, e li affianchiamo con una consulenza legale per ottenere i documenti necessari al reinserimento sociale, come carta d’identità, codice fiscale e permesso di soggiorno. Con tutti partiamo sempre dalla comprensione del reato, lavoriamo per capire come sistemare le cose e costruiamo insieme opportunità di cambiamento. Cerchiamo di creare un ambiente di fiducia e favorevole per aiutare i ragazzi a immaginarsi una vita non segnata da un errore commesso: sono ragazzi che sono inciampati una volta ma che non vogliamo vedere di nuovo a terra.
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