L’intervista: don Gino Rigoldi “Noi e i giovani di strada”

“Palazzine diffuse sul territorio interamente abitate da giovani dove troverebbero casa studenti, neo lavoratori, artisti e ragazzi di strada o usciti dalla comunità. Uno vicino all’altro e opportunamente guidati darebbero vita a villaggi creativi e vitali potenti che da noi non si sono mai visti”.

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La parola d’ordine di don Gino Rigoldi, 84 anni, è avere sempre un primo progetto, mai l’ultimo. E così lasciato l’incarico formale al Beccaria dopo 50 anni (continua quello sostanziale), parte per una nuova avventura. “Ho in programma un viaggio per andare a vedere le Maison des jeunes et de la culture, a Parigi. Sono associazioni di Educazione popolare che si prefiggono come obiettivo l’emancipazione individuale e collettiva attraverso la cultura, il lavoro, la passione del fare. Vorrei avviare a Milano realtà analoghe, ma residenziali spiegadon Gino -. Lo spirito è creare uno spazio di convivenza e di scambio tra ragazzi e ragazze che abitano nello stesso luogo e nel tempo libero si interessano insieme di arti e mestieri, di musica, di calcio, di attività sostenibili e di cinema. Potrebbero ideare tornei e concorsi coinvolgendo anche altri quartieri. È un progetto ambizioso e i soci ideali con cui partire sarebbero gli Amici di Edoardo con cui 25 anni fai fondai il Barrio’s in Barona”, anticipa.

Come sempre avviene nelle associazioni, il progetto associativo delle Maison des jeunes è definito da un consiglio di amministrazione e realizzato da una squadra di dipendenti e volontari. “Lì c’è una struttura di questo tipo, il nostro modello è tutto da pensare – dice -. Potrebbe essere una palazzina o una grande villa dove ognuno ha la propria stanza, o un campus. Lo spazio fisico è importante e il modello virtuoso del Barrio’s insegna che l’energia si irradia sul territorio circostante”.

Don Gino 18 anni fa ha incontrato don Claudio Burgio e da allora hanno lavorato paralleli e sinergici all’Ipm Beccaria. A lui ha appena passato il testimone come cappellano dell’istituto minorile e chissà che anche in questo progetto non possano convergere. In comune hanno la straordinaria capacità d’ascolto e una cura attenta per le relazioni umane, con gli adolescenti innanzitutto: “Non ho mai avuto paura delle relazioni, la paura è già un giudizio e una negazione di libertà – spiega don Rigoldi -. Quando i giovani compiono 18 anni, le comunità non sanno dove collocarli. Da una parte c’è penuria di alloggi per l’autonomia e dall’altra un neomaggiorenne che esce da percorsi difficili neanche ce l’ha, la grande autonomia che serve per vivere e crescere ancora. Non è costruttivo lasciarli in solitudine, viene la malinconia persino a me. Da soli sulle loro gambe si limitano a sopravvivere mentre l’educazione è scambio, cultura, terreno fertile, relazione”. Lo stesso don Gino abita in una villetta con 14 “figli” neomaggiorenni, di cui 5 adottati: quasi tutti nordafricani e senza famiglia. “Figli” che ha incontrato nel suo lungo percorso e a cui ha offerto orecchie e occhi, paternità e amicizia.

Ha iniziato ad occuparsi di ragazzi alla fine degli anni 70 al Giambellino e a Baggio, all’epoca periferie abbandonate e dure, e ha fondato Comunità Nuova, oltre alla Fondazione che porta il suo nome. “Bisogna far fiorire sul territorio luoghi costruiti per i giovani”, conclude. E immagina orchestre, studi musicali, concorsi di scrittura, gare di falegnameria e cucina. Solo un sogno? Lui è convinto di no.

Elisabetta Andreis, Il Corriere della Sera pag. 9, 12/04/2024